Il laboratorio odierno si è focalizzato sull’analisi conversazionale di un conflitto, intercorso a mezzo mail, tra due persone coinvolte nel medesimo progetto professionale.

La comunicazione è un fattore chiave per comprendere il conflitto e i rapporti che intercorrono tra le persone. È grazie ad essa che le nostre relazioni acquisiscono senso, valore; il modo con cui comunichiamo, ciò che diciamo ma soprattutto come lo diciamo scandisce il passo delle nostre interazioni, il giro di danza. Non dimentichiamo che nel continuo scambio di parole e messaggi che abbiamo con gli altri esseri umani noi mettiamo insieme, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, la nostra identità personale, cioè quell’insieme di informazioni su noi stessi costituito da ciò che pensiamo di noi e ciò che gli altri pensano di noi.

Messaggi e non solo parole, perché la comunicazione è innanzitutto non verbale. Come sottolineano gli studi sulla pragmatica della comunicazione, non esiste comportamento che non sia al tempo stesso una forma di comunicazione. Inviamo sempre un messaggio agli altri, che lo vogliamo o no.

Quando analizziamo o lavoriamo su un conflitto, mettere a fuoco la comunicazione che intercorre tra le parti è un passaggio imprescindibile. Dall’analisi conversazionale possiamo ottenere utili informazioni su ciò che non va nella relazione per individuare elementi che ci permettono di far volgere il rapporto in positivo, facendo leva su quei bisogni e quegli interessi delle parti implicitamente espressi e puntualmente violati nella conversazione.

Gli interessi sono gli obiettivi, ciò che le persone vogliono ottenere attraverso il conflitto. Diversamente dalle posizioni, che sono spesso esplicite e dichiarate, gli interessi sono impliciti. Sono le risposte alla domanda “perché vuoi questo?”.

In molti casi gli interessi sono connessi a cose tangibili, come compensi monetari, incarichi lavorativi e via dicendo: due persone, per esempio, potrebbero essere entrambe in competizione per una posizione lavorativa ma avere interessi diversi: uno dei due può volere quella posizione per l’aumento di salario, l’altro per l’opportunità di viaggiare offerta dalla nuova posizione lavorativa. Ragionando in questi termini, e non sulla mera necessità di assegnare la posizione ad uno dei due dipendenti, emergono nuove soluzioni.

I bisogni invece sono legati alla componente motivazionale dell’essere umano. Non fanno riferimento a risultati tangibili, a “cose”, ma sono legate alle esigenze della persona; avere una sicurezza economica, godere di buona salute, sentirsi al sicuro da pericoli imprevedibili, mantenere un buon rapporto con i figli. Sono tutte istanze che rimandano ad aspetti essenziali dell’uomo, concernenti la sua sopravvivenza psico-fisiologica. Al contrario degli interessi o delle posizioni, difficilmente accettiamo di negoziare i nostri bisogni perché sono inestricabilmente connessi alla nostra persona. Ecco perché spesso sono alla base dei conflitti  più violenti e irrisolvibili; quando la disputa verte sui nostri bisogni ogni concessione equivale ad una minaccia per la nostra sopravvivenza.

In un certo senso quando ci relazioniamo con qualcuno siamo sempre implicitamente impegnati in una negoziazione: comunicando cerchiamo conferme alle nostre parole, alla nostra persona, fuggiamo le disconferme, le negazioni e a nostra volta diamo  o non diamo riconoscimento agli altri, ci imponiamo, concediamo spazio al nostro interlocutore. Ogni interazione quindi può essere vista come una forma particolare di negoziazione la cui posta è l’affermazione del proprio Sé.

Quando non riceviamo conferma è facile scivolare in una dinamica conflittuale, perché le mancate conferme equivalgono a potenziali pericoli per il proprio ruolo, i propri bisogni e le proprie aspettative. Nel gioco del “ecco come mi vedo”/”ecco come ti vedo che mi vedi” è sufficiente un tono di voce per violare un’aspettativa e sentirsi offesi o minacciati dal nostro interlocutore.

Ciò accade soprattutto nei conflitti sul luogo di lavoro: magari ci troviamo d’accordo sull’obiettivo da raggiungere (la chiusura di una trattativa, la conclusione di un progetto) ma non sulle modalità con cui ottenerlo. Entrano in gioco questioni legate alla percezione della propria professionalità, come il riconoscimento del proprio lavoro, o alla definizione dei ruoli (“chi comanda qui?”).

È il caso dell’esempio portato in questo laboratorio: il conflitto si sviluppa tra il project leader e un suo collaboratore, impegnati nella conclusione di un progetto che vede coinvolti un committente italiano e interlocutori stranieri. Entrambi vogliono raggiungere lo stesso risultato,  ma hanno bisogni ed interessi divergenti che portano ad un insanabile rottura.

Nell’esercitazione effettuata in laboratorio i partecipanti hanno cercato di individuare quali interessi e bisogni sono stati comunicati (e ignorati) nel conflitto, al fine di far emergere soluzioni alternative allo scontro. Il lavoro si è svolto andando ad individuare le parole chiave utilizzate nella comunicazione, avvenuta a mezzo mail, tra i due litiganti.

Per ovvie ragioni di privacy non è riportata la vicenda nei dettagli, né stralci delle comunicazioni intercorse, ma solo i nomi fittizi di Mr. Bob, project leader e Mr. John, facilitator.

La vicenda, in breve, vede  i due litiganti scontrarsi in merito alla gestione di un progetto; i due discordano sulle modalità operative e sulla cifra stabilita da chiedere al cliente per avviare l’operazione, ma sullo sfondo si intravede uno scontro tra personalità. La situazione si complica quando arriva una mail da parte del facilitator straniero che rende palese che tra i due è incorso un equivoco. Le cifre proposte dal project leader sono diverse da quelle che il facilitator italiano invia allo sponsor, ma non è chiaro chi dei due abbia commesso l’errore. Resta il fatto che l’equivoco rischia di compromettere l’intero progetto.

Nel risalire dalle parole chiave agli interessi e ai bisogni nascosti, l’aula ha mappato il seguente schema:

Bob


– Calma
– Rassenerare

John


– Problemi (di lavoro)
– Atteggiamento difficile da comprendere


– Diffidenza
– Fregare
– Ansioso (ti sento)
– Agitazione (mi metti)
– Stai sereno (sulla suddivisione economica)

-Trasparenza (ho bisogno di)
-Chiarire (i patti erano diversi)

– Riconoscenza (sii riconoscente)

Dopo email del cliente


– Timori fondati
– Reputazione
– Preciso (io)
– Poco chiaro (tu)

– Non venirmi a dire niente
– non voglio fare brutte figure

– Tono (tuo) difficile
– Hai deciso di essere velato
– siamo amici (io e il committente)

– (tu hai) Paura di perdere il ruolo
10°
– Affinità Caratteriale (non c’è)
– Incompatibilità
11°
– Appartenenza al progetto (non hai)
– no diktat (non consentirò di far fallire il progetto)

 

Come si può vedere dalla tabella sono in gioco motivazioni differenti: il project leader ha soprattutto a cuore il suo ruolo e la relazione privilegiata con il committente (vuole insomma conservare “la faccia”), mentre il suo collaboratore ha tutto l’interesse a portare al termine l’operazione perché si trova in una situazione lavorativa difficile e se il progetto entra in porto potrà contare, oltre che al compenso, ad un incarico che gli garantirà in futuro maggiore stabilità.

Il contrasto iniziale “stai calmo/metti agitazione” (Bob), “ho problemi, voglio sicurezze” (John) si trasforma in un alterco acceso dove tra offese e accuse reciproche emerge la necessità da parte di entrambi di affermare la propria professionalità e addossare all’altro la responsabilità dell’equivoco.

Con la differenza che Bob è project leader e gode di un rapporto privilegiato con il committente, mentre John è in una posizione subordinata. I due hanno una BATNA differente: per Bob è preferibile affossare il progetto che compromettere la sua relazione con il committente per cercare una soluzione più remunerativa, per John l’alternativa alla conclusione del progetto è il rischio di incorrere in problemi economici e di perdere una prospettiva di lavoro interessante.

Andando oltre gli interessi è possibile vedere come l’equivoco abbia messo in discussione bisogni più profondi: nonostante goda di una BATNA migliore, per Bob è compromessa la sua necessità di avere controllo della situazione e di veder confermato il suo ruolo di project leader. Per John invece viene meno la prospettiva di una sicurezza economica mentre viene messa in discussione la sua professionalità.

Come in ogni equivoco, è difficile individuare un vero e proprio colpevole, perché spesso semplicemente non c’è. Le accuse suonano pretestuose ed è facile scivolare nella spirale del “tu hai fatto / io invece ho detto” a scapito dell’obiettivo comune.

Come si sarebbe potuto prevenire questo esito? Le soluzioni proposte dai partecipanti sono state due, entrambe riferite al ruolo di John.

Dato il ruolo di subordinazione, John avrebbe potuto/dovuto smorzare i toni piuttosto accesi della conversazione per assecondare gli inviti alla calma del project leader.

D’altro canto John è un professionista e non può permettere insinuazioni che mettono in dubbio le sue competenze. Potrebbe piuttosto abbandonare l’equivoco e focalizzarsi sulla riuscita del progetto, cercando di offrire a Bob altre soluzioni grazie alle sue competenze.

A cura di T. Fragomeni, S. Pappalardo