L’invenzione di questo particolare stile di mediazione si deve alla professoressa J. Morineau.
La Morineau recupera il principio della tragedia classica di calare la persona nella piena partecipazione dell’azione tragica affinché si liberi dalle passioni e le proietti, o le esteriorizzi, sulla “scena” per riprendere il pieno dominio delle proprie funzioni razionali, senza le quali, qualsiasi intervento di trasformazione della realtà risulterebbe velleitario; la ragione si svincola così dai condizionamenti di una psicologia del profondo che rende l’individuo inconsapevole e passivo di fronte all’apparente casualità degli eventi.
L’elemento fondamentale è la catarsi, la purificazione delle passioni, nel senso che queste assumono gradualmente una forma razionale, ossia esse non vengono eliminate ma subiscono una “trasformazione”, vengono cioè capite e comprese dall’Individuo.
Quando c’è un conflitto, c’è sofferenza e se vogliamo che questo si risolva, dobbiamo arrivare al cuore di questa sofferenza, solo allora la ricostruzione sarà possibile. La vera richiesta non è solo al livello della risoluzione del conflitto, ma ad un livello superiore, quello della dignità umana e quello della riparazione morale che non esclude la riparazione materiale, ma, che, sola, può rendere all’individuo il suo posto nella società” (J. Morineau).
Il laboratorio continua con una breve introduzione sul lavoro svolto nei due incontri precedenti dove viene ribadito il ruolo del maggiordomo nella nostra “casa abitata dai servi”. Viene ribadito nuovamente il ruolo dell’auto-osservazione come fondamentale per uscire dall’incoerenza dovuta al conflitto. Essa ci permette di riconoscere che stiamo costruendo la danza del conflitto insieme all’altro in un’ottica di re-azione. Fondamentale è dunque prendere coscienza di noi stessi quando siamo coinvolti in situazioni conflittuali in modo da decidere consapevolmente cosa fare.
Il laboratorio sulla considerazione personale è incentrato sull’analisi dei conflitti che insorgono quando viene ferito il nostro Ego, quando cioè viene minata l’immagine che abbiamo di noi in seguito a comportamenti altrui, volontari o non che siano.
L’elemento protagonista in questi conflitti è l’ “IO”, inteso come l’insieme di qualità ed attributi che compongono la nostra personalità. Solitamente le persone ne hanno un’immagine molto sfocata su determinati aspetti, ma molto chiara su altri; i conflitti insorgono la maggior parte delle volte quando gli aspetti di noi che sentiamo messi in discussione sono quelli su cui nutriamo maggiori insicurezze e su cui quindi abbiamo bisogno di maggiori conferme. Conferme che, quando non arrivano, ci creano un forte senso di frustrazione e ci fanno sentire attaccati, messi alle strette, se non addirittura vittime di qualche ingiustizia.
Ciò che fondamentalmente ci succede quando cediamo alla danza del conflitto in situazioni in cui vediamo minato il nostro Ego, è che cominciamo ad aumentare lo spazio di potere dell’altra persona, cediamo controllo della situazione nell’affannoso tentativo di difendere “il nostro onore” e a volte, di dimostrare qualcosa a qualcuno di cui probabilmente non ci interessa così tanto.
Come fare dunque per evitare di cedere potere e per rinunciare alla tentazione di cimentarsi in una complicata e spesso infruttuosa autodifesa? Un primissimo passo può essere quello di analizzare, durante la fase di rievocazione, l’immagine che abbiamo del nostro “IO”, in modo da essere in grado di capire quali aspetti della nostra personalità sono più suscettibili di creare in noi sensazioni di disagio quando vengono messi in discussione.
Preferibile a questo è la costruzione del “padrone di casa” che sappia attivarsi durante la dinamica conflittuale e non a posteriori, in modo da permetterci di affrontare la situazione in modo attivo e consapevole invece che reattivo: durante qualsiasi conflitto tendiamo infatti a incatenare una serie di azioni quasi in automatico, senza sapere bene cosa stiamo facendo e senza renderci conto del nostro ruolo in esso, con una tendenza alla deresponsabilizzazione personale che ci impedisce di vedere il nostro ruolo di co-costruttori della situazione conflittuale. Il padrone di casa infatti, non ci porta a smettere di litigare, ma a scegliere consapevolmente quando, con chi e come litigare, con una maggiore consapevolezza del fatto che la danza del conflitto si balla in due, ma entrambi devono conoscere i passi per non trovarsi in balia del ritmo dell’altra persona: in poche parole, bisogna passare da re-azioni impulsive ad azioni pensate. Si tenga poi presente che i conflitti legati agli attacchi alla propria considerazione personale sono tra i più dolorosi in quanto spesso aprono vecchie ferite. Ma ogni volta che ci troviamo in questa situazione bisogna essere consapevoli di essere di fronte ad una scelta. Possiamo farci rendere ciechi dal dolore e cercare oggi una rivincita per vecchie battaglie perse, provando dunque rancore, desiderando che qualcuno “la paghi”, ma così facendo la ferita diventerà più grande e ci sentiremo più che giustificati a reagire con la stessa intensità del dolore che proviamo e che abbiamo provato in passato.
Oppure possiamo deciderci a “guardare dentro” quella ferita, scoprire da dove si è originata, aprirla, pulirla, versarci sopra del balsamo e attendere la sua naturale cicatrizzazione. Se l’Ego non è eliminabile, è però trasformabile. In che modo? Capovolgendolo.
Possiamo cioè operare una trasformazione dall’EGO all’OGE: l’Ego è composto da:
Esclusione dell’altro da noi con pensieri autoreferenziali (io, io, io) che sottintendono: “io sono l’unica persona che merita la giusta considerazione in questa situazione”.
Giudizio continuo dell’altra persona, su cui solitamente proiettiamo in realtà giudizi precedentemente elaborati su noi stessi.
Occupazione dello spazio solo per noi: la nostra opinione è valida, quella dell’altra persona è irrimediabilmente sbagliata.
Mentre l’OGE è composto da:
Osservazione, sia dell’altro che della situazione: maggiore è la quantità di dettagli a nostra disposizione, maggiore ricchezza interpretativa possediamo, con più precisione siamo in grado di elaborare ciò che ci succede attorno e di comprendere i nostri e altrui bisogni, ciò che ci muove e che muove l’altra persona, quale potrebbe essere il frame in cui si collocano le sue azioni e così via.
Giustificazione dell’altro, tentativo di scindere tra il comportamento e la persona.
Espansione dello spazio personale in modo da riuscire ad includere anche l’altro, che diventa non “altro da me” ma “altro possibile”.
OGE si fonda sul tema della costruzione di domini coerenza, che abbiamo affrontato nel primo incontro di gennaio: se riesco ad acquisire la competenza dell’osservatore silente e non giudicante di me stesso riesco a vedere ed eventualmente correggere la mia incoerenza; se non vedo subisco e cedo potere relazionale all’alter. Potere personale all’interno di un processo di mediazione nasce da una corretta comprensione di sé: conoscenza, controllo e dominio su di sé.
Esercitazione.
Come il laboratorio precedente anche questo è stato impostato in modo che, dopo una breve introduzione, i partecipanti fossero suddivisi in gruppi più piccoli in modo da permettere una discussione più approfondita di casi personali di occasioni in cui qualcuno ha attaccato il nostro ego. In particolar modo bisognava cercare di rispondere alla domanda fondamentale: quando sono in conflitto perché sento minacciato il mio ego, quale è la mia intenzione? Il compito di ogni gruppo era quindi di analizzare degli eventi vissuti in modo da capire in che modo l’Ego fosse stato toccato in modo di riuscire ad uscire dal binomio fight or flight. Sono quindi stati formati 4 gruppi, di circa 6 persone, con il compito di analizzare una storia narrata e trovare strategie alternative
1. Il primo gruppo è partito da un conflitto sul lavoro. Un collega fastidioso il cui comportamento genera aggressività e rabbia non considerando la persona che si sente attaccata (tema dell’invisibilità). Le strategie alternative individuate sono state: una preparazione preliminare anche fisica (meditazione, riduzione dei caffè) e rimanere silente e farsi delle domande.
2. Il secondo gruppo ha lavorato sul tema della vicinanza affettiva: considerazione più auto-considerazione e riconoscimento. Queste tre componenti formano un circolo vizioso nel caso un non riconoscimento venga percepito come una minaccia. Viene così evidenziato come la considerazione dell’altro può modificare la considerazione che ho di me stesso. La strategia alternativa individuata è stata di rielaborare la situazione tra sé e sé in un momento successivo unita all’analisi dei motivi, dei bisogni e dei valori del nostro comportamento, unita in seguito alla comunicazione dei nostri bisogni con richieste esplicite.
3. Il terzo gruppo ha lavorato su un episodio molto complicato che si riferiva ad un conflitto condominiale dove una partecipante sentiva che le sue opinioni non venivano prese in considerazione. A questo si aggiunge anche uno svilimento delle sue competenze e il sospetto che questa non considerazione sia legata anche ad un problema di genere. Tutti questi fattori portano ad un sentimento di esclusione che porta ad un mancato riconoscimento del lavoro svolto. Le possibili alternative trovate sono state di spogliarsi del proprio ruolo che identifica la relazione ed esplicitare il bisogno.
4. Il quarto gruppo ha preso in esame un conflitto di lavoro. Su questo conflitto si è deciso di proseguire con il prossimo laboratorio.
Alcune delle motivazioni scatenanti emerse e delle soluzioni proposte sono elencate qui di seguito:
Situazione: l’aggressività di qualcuno ci provoca una sensazione di rabbia, sentiamo di essere invisibili, di non essere considerati. Soluzioni proposte: prepararsi psicologicamente e fisicamente a incontrare l’altra persona, predisporsi all’incontro con metodi di rilassamento e, una volta nella situazione che ci provoca disagio, porsi maggiori domande riguardo al comportamento dell’altra persona.
Situazione: la vicinanza affettiva con una persona che sentiamo che non ci considera come vorremmo ci crea sofferenza perché viene minata la nostra auto considerazione, il nostro bisogno di riconoscimento rimane insoddisfatto e questo viene vissuto come una minaccia, si entra in un loop dal quale è difficile uscire. Soluzioni proposte: rielaborazione a posteriori della situazione per analizzare il proprio comportamento, i propri bisogni, le proprie necessità in modo da essere in grado di comunicarli in un momento successivo con richieste esplicite. Ragionare su quanto la considerazione che l’altro ha di noi possa davvero modificare quella che abbiamo di noi stessi.
Situazione: le nostre opinioni non sono considerate, le nostre competenze non apprezzate, si vive un senso di esclusione e contemporaneamente un desiderio di riconoscimento del lavoro svolto. Soluzioni proposte: spogliarsi del proprio ruolo che identifica la situazione ed esplicitare il bisogno, avere una MAAN (migliore alternativa all’accordo negoziato, in questo caso potremmo dire “alla situazione relazionale”) chiara e presente.
A cura di T. Fragomeni, C. Benedetti, A. Lela, A. Maietti