Scopo di questo laboratorio è stato quello di lavorare sulle prime due lettere del metodo O.A.S.I.  acronimo di Osservazione, Ascolto, Sentire e Integrare.

L’ascolto e l’osservazione sono due competenze relazionali poco utilizzate con piena consapevolezza nella nostra quotidianità. Tendenzialmente si osserva e si ascolta in modo automatico, senza concentrarsi veramente sullo stesso significato di cosa significhi veramente osservare e ascoltare e senza domandarsi che osservatori e ascoltatori siamo. L’aspetto interessante è che queste attività sono vere e proprie competenze, che possono essere allenate, al fine di farle diventare strumenti utili per comprendere che ciò che conta non è cosa osserviamo e cosa ascoltiamo ma come lo facciamo a fare la differenza. Inoltre, implementare queste competenze, significa anche comprendere meglio come gli altri osservano, guardano  la realtà e come la percepiscono e quindi imparare a individuare velocemente il frame delle persone.

  • Quando si parla di frame (cornice/struttura) si intende una struttura mentale che semplifica e guida la comprensione della realtà altrimenti complessa, ovvero nell’interpretazione dei fatti della nostra esperienza tutti tendiamo a dare rilevanza ad alcuni aspetti e non ad altri lasciandoci influenzare da fattori contestuali, motivazionali e emozionali.

Quando osserviamo e ascoltiamo possiamo cadere vittime di un elaborazione automatica e fallace delle informazioni che non ci consente di cogliere in pieno la realtà nella sua complessità.

Per evitare questi errori di raccolta delle informazioni è possibile utilizzare delle pratiche comunicative che consentono di creare spazio tra chi ascolta e la realtà:

  • Osservazione del non verbale: imparare a porre attenzione agli elementi cinetici e prossemici della comunicazione (il movimento del corpo, la sua disposizione nello spazio, la gestualità), ai fattori prosodici (tonalità della velocità, volume, velocità, ritmo, accentuazione) al contatto oculare e all’organizzazione di tempi (pause, sovrapposizioni dei due parlanti).
  • Ascolto attivo: tecnica di comunicazione che non indica solo ascoltare, ma richiede un cambiamento nell’ascolto che non deve più essere guidato dal concetto di “giusto-sbagliato” ma  impone di mettersi nelle condizioni di capire cosa realmente l’altro dice e cercare di comprendere come mai comportamenti e azioni che possono sembrano irragionevoli, per chi parla sono totalmente ragionevoli e razionali; richiede a colui che ascolta di dare validità e legittimità a quello che l’interlocutore dice.
  • Parafrasi: è una tecnica di comunicazione che in linea generale indica la riproposizione di quello che è stato detto da parte di chi ha ascoltato per avere un feed-back in tempo reale della sua effettiva comprensione.
  • Parola chiave: sono parole spesso ripetute o caricate di enfasi che se colte danno informazioni sulla persona e soprattutto su ciò che è per lei importante.

L’attività che è stata proposta per implementare un uso consapevole dell’osservazione e dell’ascolto ha previsto la creazione di unità di lavoro composte da due persone, di cui una denominata A e l’altra B.

L’esercizio ha richiesto a ogni coppia di raccontare in alternanza un proprio conflitto o situazione conflittuale. L’esposizione di chi raccontava (A) doveva essere di dieci minuti nei quali colui che ascoltava (B) non doveva interagire in alcun modo, ovvero doveva solo osservare e ascoltare, senza quindi fare altro (nemmeno domandare chiarimenti). Alla fine dei dieci minuti iniziali in cui A parlava, B, alla fine dell’esposizione scriveva in due minuti tutto ciò che lo aveva colpito del racconto di A. Dopo l’esposizione di A, i ruoli si invertivano e dunque B doveva raccontare il suo conflitto. Anche in questo caso B aveva dieci minuti per farlo ed A, che doveva solo osservare e ascoltare, come aveva fatto il suo compagno nell’interazione precedente, alla fine dei dieci minuti scriveva i suoi appunti.

Alla fine, l’esercizio prevedeva lo scambio dei rispettivi feed-back, da farsi in forma privata tra le coppie.

  • Output

Alla fine anche dei feed-back, è stato proposto un momento di debriefing collettivo.

Le domande a cui è stato richiesto di rispondere al gruppo sono state:

  1. Come ciascuno di voi si è sentito ascoltato dall’altro?
  2. Come ciascuno di voi si è sentito quando ha ascoltato il feed-back del proprio compagno?

Ciò che è emerso dalla classe è stato riportato su una lavagna a fogli mobili ed è riportato integralmente di seguito.

Durante l’ascolto come vi siete sentiti? Durante l‘ascolto del feed-back come vi siete sentiti?
-Impatto tranquillizzante (dell’essere guardata negli occhi) e liberatorio;

-Mi sono sentita importante;

-Stupore che non c’era interruzione e vi era ascolto del silenzio tra una frase e l’altra;

-La sensazione è di aver creato un momento nostro;

-Mi sono sentita accolta grazie a dei gesti, mi ha spiazzato non avere espressa una complicità, ho scoperto che stavo cercando di creare una alleanza.

-Mi ha aiutato ad avere una migliore analisi del problema.

-Il fatto di non avere una reazione nell’interlocutore mi ha fatta sentire insicura di non essere sufficiente chiara mentre parlavo, senso di spiazzamento.

-Ho sentito che avrei smesso di parlare prima se non fosse stata una esercitazione (non avere un feed-back era come non avere un’interazione).

-Senso di protezione, non poteva che venire qualcosa di positivo.

-Ho provato disagio e imbarazzo.

 

-Compresa.

-Sorpresa di capire cose che non immaginavo prima, un arricchimento.

– Focalizzazione del problema e visione oggettiva a 360°.

– Ho compreso che cos’è l’ascolto attivo; non giudica ed è neutrale.

– mi sono sentito scoperto, lacerata la maschera che metto per proteggermi.

– L’ascolto può cambiare l’atmosfera.

– Si crea un campo di ascolto, un’energia.

– Il fatto di non poter replicare a qualcosa che l’altro aveva sbagliato a riportarmi mi ha permesso di lasciarlo parlare e di verificare che aveva compreso il mio sistema valoriale.

– Ho avuto conferma di una parte del mio carattere e questo ha aperto una finestra su come l’altro ti vede e mi permette di fare delle riflessioni su di me.

– Mi sono sentita riconosciuta, mi ha fatto capire come gestire il conflitto rispetto a come l’ho fatto fino ad ora

-Soddisfatto egoisticamente, chiaro nella mia esposizione

La sperimentazione di un ascolto silenzioso, ovvero effettuato soltanto osservando e ascoltando, senza interruzioni, senza domande o quant’altro, è stato  molto potente. Ciò che è emerso dal vissuto del gruppo   è che alle volte nel silenzio del nostro interlocutore è possibile ritrovare lo spazio per poter avvicinarsi e comprendere il proprio conflitto nella sua essenza. Interessante è stato il valore che il silenzio crea, ovvero l’inazione, il non dire, non rispondere all’altro, permette al narratore di effettuare un’auto-riflessione che spesso l’interazione non consente. Si passa dal fare al non fare e si scopre che a volte non è necessario fare nulla perché le cose accadano. È il superamento del senso di spiazzamento, di disagio e imbarazzo che spesso il silenzio è capace di creare. Ciò che emerge è che siamo così continuamente abituati nei nostri dialoghi a interazioni che assecondano, contraddicono o confermano di capire o meno quello che l’altro ci dice o che noi stiamo dicendo, anche attraverso un cenno o un gesto, che essere ascoltati nel silenzio si rivela un’esperienza che, possiamo dire per alcuni, è stata vissuta per la prima volta. Ciò è stato motivo di riflessione. Che cosa cerchiamo quando parliamo con qualcuno di un nostro conflitto? Una conferma che abbiamo ragione? Un alleato con cui combattere la nostra battaglia contro il male? E se l’altro non ci dice nulla e ci ascolta silenziosamente, che cosa succede? In quel silenzio, dove risuonano solo le nostre parole, siamo costretti a sentirle, forse per la prima volta. L’altro è come uno specchio che ci mostra chi siamo e il suo silenzio ci permette di ascoltare, forse anche in questo caso per la prima volta, le nostre emozioni che vibrano nell’aria acquistando densità e spessore. Quel silenzio crea uno spazio e in quello spazio c’è tutto il nostro potere di ri-ascoltare, ri-vedere, ri-osservare, ri-creare una nuova visione del nostro stesso conflitto.

In quella restituzione silenziosa si può creare anche un senso di comprensione e di svelamento di quelli che sono aspetti di noi stessi che credevamo imperscrutabili e nascosti.

Il  laboratorio ha messo nuovamente in luce l’importanza di vedere il conflitto nella sua parte positiva, occasione di crescita e di presa di coscienza di noi stessi e dei nostri comportamenti e atteggiamenti. L’applicazione di questo tipo di lavoro ha altresì messo in rilievo gli importanti riflessi a livello professionale che riguardano la gestione costruttiva che è possibile fare anche con i conflitti dei propri clienti.

A cura di T. Fragomeni  e P. Perrone.