Il laboratorio che si è svolto il 24 settembre presso lo Spazio San Marco è stato studiato per mettere i partecipanti nella condizione di approfondire una metodologia per la gestione dei conflitti incentrata sull’analisi delle cornici delle parti – ovvero, finalizzata ad individuare ed esplicitare il “dietro le quinte” del conflitto, lavorando su quell’insieme di convinzioni (e convenzioni) che influenzano i nostri comportamenti e che spesso sono la causa dei blocchi conflittuali nelle dinamiche negoziali.

La metafora della cornice ci aiuta a comprendere come gli attori coinvolti in una disputa percepiscono se stessi, la loro controparte, i loro limiti e le loro possibilità; come delle vere e proprie lenti, le cornici mettono in risalto solo alcuni aspetti della realtà, lasciando sullo sfondo tutti gli altri. Per questa ragione, quando incappiamo in problemi che sembrano essere senza via d’uscita ci è richiesto di effettuare un cambio di prospettiva. Mutando punto di vista, cambiamo la percezione delle cose: nuovi elementi appaiono sullo sfondo e ciò che prima ci sembrava inestricabile assume adesso nuove configurazioni – nuove possibilità.

Anche in una disputa i problemi, spesso, sorgono perché sembra non avere altra scelta che ricorrere a comportamenti competitivi. Se sono convinto che la mia controparte è poco partecipativa, ostile, non interessata alla relazione – insomma, se trovo che la mia controparte sia uno stronzo impenitente- difficilmente riuscirò a gestire una situazione conflittuale in modo costruttivo e maturo.
Da questo punto di vista adottare uno stile negoziale “maturo” non significa soltanto ricorrere a strategie che incentivano un processo di risoluzione integrativo, ma descrive piuttosto un atteggiamento consapevole,delle proprie cornici e di quelle altrui, contrapposto a un atteggiamento “ingenuo”, incapace di andare oltre gli aspetti superficiali del conflitto.

Tanto nei piccoli litigi che nell’escalation conflittuale, i comportamenti agiti e le parole usate, dette o urlate, non costituiscono un ostacolo di per sé alla gestione del conflitto, ma sono piuttosto il riflesso di un modo di rappresentarsi il blocco conflittuale. Imparare a riconoscere e gestire la cornice del conflitto è una delle sfide del professionista negoziatore.
Certo, ci sono ostacoli che non si possono gestire o superare – una fila al semaforo quando siamo in ritardo, il ritardo di un volo, il fallimento di un creditore. Ma quando gli ostacoli riguardano le dinamiche relazionali il blocco conflittuale esiste solo perché è presente nella nostra testa. Rispetto ad esso quindi possiamo sempre mutare atteggiamento e cercare nuove prospettive. Ciò che conta è essere consapevoli della natura dinamica del conflitto: esso può sempre mutare, sta al professionista del contenzioso decidere come.

Una storiella può aiutarci a comprendere come ciò che spesso riteniamo insormontabile può trasformarsi in un punto di forza, se adeguatamente riconfigurato: intorno alla fine dell’800 un commerciante di scarpe decise di investire in Africa, gli affari procedevano bene e pensò che era giunto il momento di estendere oltreoceano i propri interessi. Così invia i suoi due più fedeli collaboratori con il compito di saggiare il mercato; il primo andò nel nord del continente, il secondo al sud. Passarono diverse settimane, e dei due nessuna notizia. Finché un giorno, il commerciante ricevette due messaggi da parte di entrambi gli inviati. Il primo gli scrisse così: “Brutte notizie! – nessuno indossa scarpe – sconsiglio qualsiasi tipo di investimento”. Il secondo invece scrisse così: “Ottime notizie! – nessuno indossa scarpe – faremo affari d’oro!”

L’esercizio svolto in aula riprende un’immagine tipica del coaching, la metafora del percorso: da dove parto, dove voglio arrivare, cosa mi blocca. Lo scopo dell’esercizio è quello di incentivare la ricerca dei blocchi del contenzioso, per cercare di riconfigurarli in potenziali punti di forza, sfruttando la natura ambivalente delle nostre percezioni.
Come riconfigurare gli elementi che sul tavolo negoziale bloccano la risoluzione della controversia? Incentivando una prospettiva futura, ecco come. Emancipando gli attori da quello status di vittima offesa/in cerca di rivalsa per una riconfigurazione della propria persona in chiave proattiva, propositiva e orientata ad un risultato concreto: cosa succede, come ti sentiresti raggiunto l’obiettivo? Questa la domanda chiave utilizzata nell’esercitazione per far emergere nuove prospettive

L’esercizio si è svolto dividendo i partecipanti in sette gruppi da tre: una coppia e un un osservatore. Una prima parte del’esercizio è stata incentrata nel riconoscimento delle cornici conflittuali attraverso l’ascolto. Le coppie hanno assunto a turno sia il compito di ascoltatore che di narratore: il narratore raccontava un proprio conflitto, mentre l’altro, l’ascoltatore, aveva il compito di individuare i blocchi conflittuali veicolati nella narrazione.
Dopo l’ascolto si passa alla seconda parte dell’esercizio, la riconfigurazione del problema, utilizzando lo schema: dove ti trovi – dove vuoi arrivare – come ti sentiresti se avessi già superato l’ostacolo del conflitto.

Alla fine della sessione gli osservatori hanno descritto al resto dell’aula le interazioni osservate nel proprio gruppo. In particolare, gli osservatori hanno notato come nell’assumere il ruolo dell’”ascoltatore-coach” i partecipanti abbiano sistematicamente cercato di imporre al proprio interlocutore il proprio punto di vista, sconfessando il proposito di comprendere le cornici altrui e ricorrendo piuttosto alle proprie definizioni del problema, suggerendo soluzioni ad esso connesse: “forse dovresti fare così”, “ma hai mai pensato di…?”, “ma, scusa se ti interrompo, ma perché non…”

Per certi versi insomma l’esercitazione in aula si è trasformata in un vero e proprio caso di serendipità: cercavamo un modo per accrescere la consapevolezza delle cornici veicolate nel conflitto, per riconoscere e riconfigurare i blocchi conflittuali delle parti, ma ciò che abbiamo scoperto è che sembra essere quasi impossibile, per il professionista, dismettere gli abiti del problem solver. È più facile affrontare il rapporto tra le parti come un problema da risolvere ad ogni costo, anziché qualcosa che dev’essere innanzitutto compreso.

Abbiamo quindi stilato una lista delle difficoltà riscontrate durante l’esercitazione di ascolto, da cui è possibile trarre alcune interessanti considerazioni.

1) Il primo accordo da raggiungere è con il proprio cliente.
Spesso tendiamo a sopravvalutare la nostra capacità di comprendere i nostri interlocutori, perché riteniamo di avere un’idea di come vanno le cose nel mondo condivisa da gran parte delle persone – e, generalmente, dalla gran parte delle persone “perbene”. Di conseguenza è facile assistere il nostro cliente utilizzando come unico metro di misura le nostre valutazioni e i nostri giudizi, lasciando sullo sfondo le vere esigenze dell’assistito. Come nei conflitti, tendiamo a banalizzare i bisogni del nostro interlocutore e ad imporre il nostro punto di vista. Ecco perché è importante riuscire ad individuare, fin dal principio, una percezione condivisa dei problemi e degli obiettivi che si vuole raggiungere insieme al proprio cliente

2) Un approccio maturo al conflitto richiede una consapevolezza di tutte le cornici in gioco, anche quella del professionista mediatore
Per acquisire un approccio orientato alla gestione costruttiva dei conflitti non basta quindi essere dei bravi ascoltatori. Uno dei principali ostacoli che il professionista negoziatore deve riuscire a gestire è “l’ansia da prestazione del problem solver”, che inibisce lo sviluppo di soluzioni focalizzate sul cliente. Un metodo orientato alle cornici deve essere finalizzato a fornire al professionista negoziatore una maggiore consapevolezza sia del setting cognitivo delle parti sia, se non soprattutto, delle distorsioni proprie dei suoi stessi schemi mentali

3) Dietro le cornici: la paura
Cos’è che si cela dietro la difficoltà ad inibire un atteggiamento orientato più alla soluzione che all’ascolto del proprio cliente? Le cornici strutturano i nostri ragionamenti, condizionano i nostri pensieri e guidano le nostre azioni sottoforma di abitudini e automatismi. Fare a meno di una certa cornice vuol dire spesso uscire dalla propria zona di comfort: imporre il proprio punto di vista, le proprie valutazioni e i propri giudizi è il modo con cui cerchiamo di soddisfare quel bisogno intrinsecamente umano di tenere sotto controllo la situazione. Riuscire ad emanciparsi dal proprio spazio di comfort, inibendo le proprie idiosincrasie (professionali e non) è, verosimilmente, la conditio sine qua non per risucire ad implementare un approccio creativo al conflitto, maturo e costruttivo.

A cura di S. Pappalardo